600mila società estinte negli ultimi cinque anni che potranno finire nel mirino del fisco
prestazione occasionale

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È il risultato dell’interpretazione restrittiva delle Entrate, che estende anche al passato la possibilità di fare i controlli sulle aziende cancellate dal registro delle imprese.
Perimetro allargato
Ad affilare le armi del fisco nei confronti delle società zombie è il decreto semplificazioni (Dlgs 175/2014), primo provvedimento attuativo della delega fiscale. In base al decreto, quando un’azienda chiude i battenti senza saldare i conti con lo Stato, le Entrate possono rivalersi sui soci o sui liquidatori fino a cinque anni di distanza dalla cancellazione.
Il punto chiave, però, è la possibilità di applicare la nuova regola anche alle società chiuse prima dell’entrata in vigore del decreto (13 dicembre 2014). Una possibilità non menzionata espressamente nel decreto ma sostenuta dall’Agenzia nella circolare 31/E dell’anno scorso. È chiaro che questa lettura moltiplica il numero dei contribuenti interessati. A maggior ragione se si considera che le Entrate hanno ritenuto di poter estendere le verifiche anche alle società di persone.
Secondo i dati di InfoCamere, tra il 2010 e il 2014 sono state cancellate 607mila società dal registro delle imprese. Di queste, però, solo 120mila hanno chiuso i battenti nel corso del 2014, anno che sarebbe stato normalmente accertabile anche senza il decreto. L’estensione al passato, quindi, chiama in causa circa 480mila tra società di capitali, di persone, cooperative e consorzi. Tutte aziende alle quali ora il fisco potrà chiedere conto delle imposte e dei contributi non versati.
Retroattività contestata
Le nuove regole, volutamente scritte per rendere più efficaci i controlli delle Entrate, hanno scatenato le proteste di imprese e professionisti. Qualcuno ha sottolineato la responsabilità eccessiva cui viene esposto il liquidatore, che – per azzerare i rischi – potrebbe decidere di non pagare i fornitori finché non sarà sicuro che tutte le imposte e i contributi sono stati versati. Qualcun altro ha denunciato il diverso trattamento tra un creditore “normale” e il creditore fisco, che avrà molto più tempo per far valere le proprie ragioni. D’altra parte, nella relazione tecnica al decreto si dice chiaramente che i tempi di verifica dell’agenzia delle Entrate non sono in linea con le attività ordinarie di liquidazione: basti pensare che oggi non è così raro imbattersi in accertamenti sull’anno d’imposta 2010.
Ma è l’applicazione retroattiva ad aver incassato le critiche maggiori. E non solo da parte dei professionisti. La scorsa settimana il presidente della sezione tributaria della Cassazione, Mario Cicala, si è detto contrario alla possibilità di applicare anche per il passato le nuove regole, intervenendo all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Ctr Toscana. E, tra i giudici di merito, la Ctp di Reggio Emilia ha già bocciato con una propria sentenza l’orientamento dell’Agenzia.
In gioco non ci sono soltanto i principi del diritto, ma anche gettito sonante. La relazione tecnica stima in 50 milioni di euro nel 2015 i maggiori incassi derivanti dalla norma. Ma è un calcolo effettuato solo sulle società di capitali e senza conteggiare l’effetto sul passato. Con la lettura più favorevole al fisco, l’incremento potrebbe essere quattro o cinque volte più elevato.
Le perdite sistematiche
Un’altra modifica contenuta nel decreto sulle semplificazioni – ma di segno opposto – è quella che allunga da tre a cinque anni il “periodo di osservazione” per stabilire se una società è o meno in perdita sistematica. Stando ai dati bilancio analizzati da InfoCamere (che potrebbero non rispecchiare fedelmente quelli fiscali) l’allungamento del periodo riduce da 19mila a 8.759 le aziende chiamate a dimostrare di non essere vuote scatole societarie.
È interessante anche osservare i settori a più alta densità di imprese in perdita continuata: le attività immobiliari (con il 5,6% delle società a rischio sul totale) e le costruzioni (4,5%) raccolgono da soli oltre la metà delle aziende più esposte. Segno che dietro il rosso sistematico in bilancio c’è anche la crisi, e non solo l’evasione.
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