Banca Sella mette le basi per un incubatore fin-tech
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Dando sviluppo a una vocazione per l’innovazione che Banca Sella, banca del territorio da sempre attenta alla tecnologia, coltiva e che ha messo radici molto concrete dal 2013, con l’avvio di SellaLab, prima laboratorio di ricerca e sviluppo per la banca, dal 2014 attrattore di start-up che ha preso via via la forma dell’incubatore di nuove imprese tecnologiche (oggi, oltre a Biella, è attivo anche a Torino e a Lecce). «A un certo punto ci siamo chiesti», dice Stefano Azzalin, 38 anni, responsabile del Lab, «visto che lavoriamo sul tema dell’innovazione per la Banca Sella perché non farlo anche per il territorio e i giovani che vogliono far nascere un’impresa? Così abbiamo dato vita a un incubatore, una struttura che potesse accogliere gli startupper in un ambiente insolito per una banca: aperto, fresco, dinamico, non vincolato da forme rigide, da pareti o da ostacoli». Ovviamente, sempre ricordandosi di essere una banca, come dimostra la linea di prodotti lanciata a inizio marzo da Banca Sella che costituisce il “corredo” necessario per chi vuole fare impresa: un “pacchetto” che si chiama Up2Start e che prevede, oltre al conto corrente dedicato, le carte di pagamento e i servizi di Internet banking, anche attività di consulenza sui temi dell’innovazione, dell’economia digitale e la possibilità di interagire con il network di contatti della banca nel mondo delle start-up digitali: imprenditori, centri di ricerca, potenziali investitori. Dall’inizio della sua attività, SellaLab ha già visionato oltre 300 progetti di start-up, ha contribuito allo sviluppo di 30 di queste, per una ricadute reale di circa 180 posti di lavoro in più sul territorio. Sorprendente? «In realtà no», dice Azzalin.

«Cito solo due passaggi: nel 1997 Banca Sella è stata la prima banca in Europa ad aprire un canale di trading online. E, nel 2000, ha dato vita al primo fondo di venture capital italiano, Jupiter, da cui sono nate realtà digitali importanti, come per esempio mutuionline.it. La nostra è una realtà che guarda costantemente al futuro, ma questa visione viene da lontano (proprio la scorsa settimana, Banca Sella ha annunciato l’investimento di 500 mila dollari nel capitale di Mission and Market Fund I, il fondo di venture capital americano grazie al quale anche gli investitori italiani possono accedere agli asset innovativi delle start-up attive in Silicon Valley, ndr)».

SellaLab ha due obiettivi: da una parte supportare le imprese del territorio, nascenti o consolidate, e accompagnarle nel loro percorso di innovazione offrendo servizi che non siano solamente “bancari”. Per le start-up mettiamo a disposizione spazi di coworking, esperti che affianchino nella crescita, fino allo sbarco sul mercato. Non facciamo questo perché incubare o accelerare start-up oggi va di moda, ma perché, dopo tre anni, la start-up è a tutti gli effetti una piccola media impresa del territorio. Compito della banca è fare in modo che il tessuto economico del territorio cresca e cresca sano. Niente di eccezionale, dunque: semplicemente è un modo aggiornato di fare banca oggi. Il nostro secondo obiettivo è accompagnare da vicino la crescita di un particolare tipo di start-up, quelle legate al settore Fintech: vogliamo diventare il soggetto di riferimento per questo ambito, in Italia e in Europa. Per questo, eroghiamo percorsi di incubazione, di equity – anche con investimenti diretti – e diamo supporto a queste realtà con advisor interni ed esterni alla banca. Dal 2014 abbiamo creato un ecosistema anche “fisico” di sviluppo, all’interno degli spazi dell’ex lanificio Sella di Biella, un luogo che per secoli ha fatto la storia dell’imprenditoria italiana. Vogliamo che lo stesso spirito continui a far vivere questo luogo, ci contamini. Qui produciamo open innovation in primis per la banca stessa, che ne beneficia, ma anche per tutti coloro che sono coinvolti. È uno spazio di scambio continuo e di crescita condivisa.

È l’unica prospettiva possibile. Le imprese del Fintech si confrontano con un mercato globale, inevitabile – quando ci si mette in questo business – che cadano gli steccati del pensarsi solo “local” o italiani.

Nelle start-up c’è una forte componente creativa e di vision. Quel che bisogna fare è mettere a disposizione un team capace e competente che trasformi questa vision in execution. Quel che più serve è un affiancamento per esempio sui temi delle compliance normative, competenze che alle start-up Fintech possono mancare.

Le opportunità dell’Internet of Things legato al banking, l’intelligenza artificiale, il blockchain e il tema delle monete complementari, oltre naturalmente ai sistemi di pagamento e all’e-commerce, che lascio per ultimi perché sono già filoni più consolidati e maturi.

È una domanda che mi fa tornare indietro con la memoria a quanto la nostra banca ha scelto di fare quando sulla scena è arrivata PayPal. Mi riferisco a quando ancora PayPal non era il colosso che è oggi: tanti la snobbarono, altrettanti la videro come un’avversaria, noi intravedemmo le opportunità che poteva aprire e siamo diventati partner su alcuni servizi e funzionalità relative ai pagamenti. Visto quel che è successo, se allora non ci fossimo aperti al nuovo, avremmo commesso un errore strategico. Oggi il mondo delle banche è di fronte allo stesso bivio: per quanto ci riguarda, supportare il Fintech significa facilitare il percorso di disintermediazione. E per noi è una strada su cui vale la pena investire.

Oggi per quello che è il mondo del lavoro in Italia e i cambiamenti in atto, per un giovane fare una start-up è quasi un orientamento naturale, è uno dei modi possibili per entrare nel mondo del lavoro. Per fortuna, tanti non stanno a piangere sul lavoro che non c’è, ma hanno l’ingegno e il coraggio di crearselo. Di costruirsi da sé un’opportunità, anziché aspettare che altri gliela mettano sul piatto.

Quali sono le ricadute dell’attività del Come in tante imprese del territorio, che si rivolgono al Lab per avere formazione, per padroneggiare l’innovazione, anche al nostro interno ovviamente non tutti sono nativi digitali, esiste un gap generazionale che è anche un gap digitale. Il nostro lavoro è fortemente orientato a portare l’innovazione al nostro interno. È necessario che il know-how, la visione e le competenze siano prima di tutto all’interno della nostra azienda, altrimenti come potremmo trasferirle alle altre aziende?

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