È cosparso di segni meno il bilancio del Top Banche. Arretra del 12,5% il margine d’interesse. Scendono del 5% i ricavi, a poco meno di 44 miliardi. Crolla di quasi il 40% il risultato corrente. Diminuisce del 26%, a 1,5 miliardi, il risultato netto. E arretrano del 4,4% gli impieghi, a 1.337 miliardi. Nonostante la Bce finanzi il sistema a tassi prossimi allo zero, le banche dell’aggregato non utilizzano il denaro per far credito a imprese e famiglie, ma per dare man forte al Tesoro, come dimostra la presenza nei loro portafogli di titoli dello Stato italiano per 223 miliardi.
Nello stesso tempo scende del 3,5% la raccolta diretta dalla clientela, a 1.422 miliardi. E aumentano del 9,6% le perdite su crediti, che rappresentano in valore assulto oltre il 29% dei ricavi. Dopo i costi operativi, pari a 27 miliardi, le perdite su crediti sono la voce di spesa più elevata del Top Banche: 13 miliardi. L’unico gruppo che le diminuisce è UniCredit (-8,7%). Solo Mediobanca segna un incremento in linea con la media del campione (+9,5%). Gli altri registrano una crescita a due cifre: +53,6% Popolare di Sondrio, +47,5 Popolare dell’Emilia Romagna (Bper), +25% Popolare di Milano (Bipiemme), +24% Intesa Sanpaolo, +16% Ubi Banca e Monte dei Paschi di Siena (Mps), +15% Banco Popolare. E con l’aumento delle rettifiche sui crediti aumenta anche il costo del rischio: +60 punti per Popolare di Sondrio, +59 per Bper, +38 per Intesa Sanpaolo, +30 per Mps, +29 per Mediobanca.
L’istituto che riduce maggiormente il margine d’interesse è Mps: -34%, poco più di un terzo rispetto ai nove mesi del 2012; anche se tra il secondo ed il terzo trimestre 2013 mostra una inversione di tendenza. Incidono sul conto di Mps gli interessi passivi versati per i bond sottoscritti dal Tesoro: 238 milioni su un capitale da rimborsare di 4,1 miliardi.
Prosegue inoltre il calo dei costi operativi. Anzitutto del costo del lavoro. Dal dicembre 2012 al settembre 2013 il sistema bancario ha espulso oltre 13 mila dipendenti. Soltanto UniCredit ha tagliato 8mila persone, di cui 3.400 uscite dal perimetro di bilancio per il deconsolidamento delle attività in Kazakhstan. Di mano pesante anche Mps e Intesa Sanpaolo, liberatesi rispettivamente di 1.830 e di 2mila addetti.
L’atteggiamento delle banche sulla riduzione dei costi appare contraddittorio. In alcuni casi i tagli del personale si accompagnano ad un aumento delle spese generali. Unicredit e Bper le hanno incrementate rispettivamente del 10% e del 7 per cento. Hanno invece ridotto questa voce Mps (-9,3%), Intesa Sanpaolo (-8,7%) e Banco Popolare (-8,1%).
In aumento del 10% i crediti deteriorati netti. Rispetto al dicembre 2012 la massa degli incagli, delle sofferenze, dei crediti scaduti oltre i 90 giorni e dei crediti ristrutturati supera i 132 miliardi. Le Popolari di Sondrio, dell’Emilia Romagna e di Milano registrano incrementi al di sopra della media, rispettivamente del 38%, del 26% e del 20 per cento.
Il rapporto tra crediti deteriorati e patrimonio netto tangibile ( il patrimonio netto depurato degli avviamenti) sale in media di circa nove punti, al 108 per cento. Era del 36% nel dicembre 2007. Da allora è triplicato.
Mps ha crediti di dubbia esigibilità pari a tre volte e mezzo il patrimonio netto tangibile e il dato è abbondantemente al di sopra della media anche per Banco Popolare (188%) e Bper (155%). Hanno crediti deteriorati inferiori al patrimonio netto tangibile Intesa Sanpaolo, Popolare di Sondrio, UniCredit e Bipiemme , ma in un rapporto comunque elevato, intorno al 90 per cento.
Migliora, invece, sia pure di poco, il coverage ratio, il tasso di copertura dei crediti deteriorati, sfiorando in media il 41 per cento. Ma a parte Mps, che presenta un valore in linea con quello medio, e a parte UniCredit e Intesa Sanpaolo, che arrivano a coprire il 44,5% dei rispettivi crediti deteriorati, negli altri casi il tasso di copertura è ampiamente al di sotto della media. Banco Popolare e Ubi coprono appena un quarto dei rispettivi crediti dubbi e Bipiemme, Bper e Popolare di Sondrio più o meno un terzo.
Il gruppo che ha il più alto coefficiente di solvibilità, o coefficiente di Basilea o total capital ratio che dir si voglia, è Ubi: 19,3% rispetto a una media del 14,1 per cento. Il coefficiente di solvibilità è il rapporto tra il patrimonio di vigilanza e gli attivi a rischio di una banca ed è calcolato, per i gruppi in questione, con metodologie messe a punto dalle stesse banche e sottoposte al controllo di Bankitalia.
Hanno coefficienti di solvibilità inferiori alla media Popolare di Sondrio, Bipiemme, Banco Popolare e Bper.
Diminuisce, invece, la leva finanziaria, ossia il rapporto tra il totale delle attività e il capitale proprio. Quasi tutti i gruppi hanno una leva finanziaria inferiore al valore medio del campione (17,7 volte). Fanno eccezione Banco Popolare e Mps. L’istituto che ha sede a Verona ha una leva di 18,4 volte. Ma il dato più eclatante è quello della banca senese, con una leva di 38,3 volte. Il patrimonio netto di Mps è stato eroso dalle perdite e dalla riclassificazione dei bond del Tesoro (iscritti non più come capitale, ma come debito).
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