Generali Una svolta «pesante» con il consiglio più leggero

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Quando, il 28 aprile 2007, l’assemblea ha rinnovato il consiglio delle Generali, i componenti erano 20. C’erano un presidente esecutivo, Antoine Bernheim, e due amministratori delegati, Giovanni Perissinotto e Sergio Balbinot. Al suo interno figurava un comitato esecutivo corposo, sebbene raramente convocato dalla presidenza. Il 30 aprile di quest’anno a Trieste i soci del Leone nomineranno un nuovo board con 11 componenti, fra i quali ci saranno un presidente non esecutivo, Gabriele Galateri, e un amministratore delegato (group ceo) Mario Greco. E con ogni probabilità non ci sarà un esecutivo.
Nel giro dunque di sei anni e due rinnovi, il numero degli amministratori della più grande compagnia italiana si è pressoché dimezzato e la governance di vertice si è allineata alle pratiche internazionali con l’individuazione di un unico capoazienda e di un presidente all’inglese, in sostanza senza deleghe.
L’economicità
La svolta nel governo societario, con il guadagno in termini di linearità e trasparenza nelle responsabilità e nei processi decisionali, ha un corollario «economico» che non rappresenta il primo obiettivo ma che fa parte della «contabilità» dei risultati. Nel 2009, cioè nell’ultimo esercizio del suo mandato, Bernheim aveva ricevuto 4,86 milioni; nel 2012 Galateri 965.500 euro. La riduzione del numero dei consiglieri determina poi un risparmio rispetto al board precedente (inizialmente a 19 componenti) di circa 800 mila euro per quanto riguarda gli emolumenti fissi (quello unitario di 100 mila euro non è stato modificato rispetto al passato), di 384 mila euro per i gettoni di presenza (su una stima di una riunione al mese) e di altri 400 mila euro nel caso (probabile) non venga più nominato l’esecutivo. Per quanto riguarda il group ceo è difficile determinare i «costi» visto che ora la composizione della remunerazione è oggi molto più orientata alla parte variabile legata ai risultati. Se tuttavia si guarda alla sola parte fissa, la retribuzione di Greco è pari a 1,3 milioni mentre quella di Perissinotto era di 1,75 milioni.
Più rosa
Il 30 aprile a Trieste verrà dunque nominato un board più light, anche in termini economici. Ma, a parte il guadagno di efficienza, meritano osservazione i criteri con i quali Mediobanca (che detiene il 13,2% di Generali) e i soci maggiori del Leone, Del Vecchio (3%), De Agostini (2,4%) e Caltagirone (2,2%), hanno confezionato la lista dei candidati. In primo luogo viene introdotto un criterio di bilanciamento. Da un lato ci sono i rappresentanti degli azionisti, Francesco Gaetano Caltagirone, Vincent Bolloré, Lorenzo Pellicioli e Clemente Rebecchini. Dall’altro, gli amministratori indipendenti: due top manager, il numero uno dell’Eni Paolo Scaroni e la new entry Ornella Barra,ceo della pharmaceutical wholesale division di Alliance Boots (da tre anni inclusa da Fortune fra le prime 15 «Cinquanta donne più potenti nel mondo»); e due titolari di specifici know how, anche in questo caso new entry: Alberta Figari, partner dello studio internazionale Clifford Chance con competenze in diritto societario, bancario-assicurativo in particolare nelle operazioni di fusione e acquisizione, e Sabrina Pucci, docente di Economia aziendale a Roma Tre con lunga esperienza in Isvap. Infine Assogestioni, che nel board versione «ristretta» avrà di conseguenza meno spazio, confermerà Paola Sapienza, esperta di governance e mercati finanziari.
Il cambiamento
Il nuovo consiglio rappresenta comunque l’ultimo passo di un percorso voluto appunto dalla Mediobanca guidata da Alberto Nagel in sintonia con gli altri azionisti principali. Percorso che ha segnato la svolta con la decisione di affidare a Mario Greco, ex Allianz Ras, Eurizon e Zurich, il timone del gruppo nel giugno 2012. Il nuovogroup ceo in pochi mesi ha cambiato la governance allineandola agli standard mondiali e il posizionamento di business con un percorso in sei tappe: la creazione di unteam di management internazionale, guidato dallo stesso Greco e che ha come «vice» Sergio Balbinot, nel quale sono entrati manager di calibro «catturati» anche all’estero; la riorganizzazione dei marchi con Generali al centro e i brand portati da dieci a tre e la creazione dei «cantieri Italia» per ridisegnare gli assetti domestici; l’acquisto in due tappe di tutta Gph, la holding a Praga; il nuovo piano industriale che vede la concentrazione nel core business, interventi di ottimizzare l’allocazione del capitale, la cessione di asset non core per 4 miliardi, una maggiore proiezione internazionale; la «pulizia» di bilancio con svalutazioni per 1,7 miliardi che «incorporano» l’allineamento agli standard di bilancio internazionali dopo una radicale asset review; il nuovo consiglio «leggero», ultimo passo di una svolta «pesante» che ha cambiato volto al Leone.

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