Cass., I sez., 30 ottobre 2014, n. 23081 (leggi la sentenza)
Sottoponiamo una pronuncia della Suprema Corte che vede coinvolta una società correntista di un istituto di credito, alla quale vengono concessi degli affidamenti nella forma di anticipazioni su fatture. A causa di alcuni dinamismi aziendali, la società si vede comunicare la revoca di detti affidamenti. La banca, al fine di sanare il debito insorto, suggerisce al cliente il rilascio di un’ipoteca volontaria, permettendo alla società l’apertura di una nuova linea di credito.
La società fallisce e l’istituto di credito formula istanza di ammissione al passivo fallimentare in via privilegiata. I crediti oggetto dell’istanza vengono ammessi come chirografari, previa revoca dell’ipoteca ex art. 67, primo comma n. 3 l.f. Il Tribunale, infatti, sostiene che l’ipoteca era stata rilasciata non al momento della nascita del credito, bensì in un momento successivo e tale operazione era palesemente finalizzata a garantire crediti chirografari e a sottrarsi da eventuali azioni revocatore infrannuali.
La banca appella la sentenza. Il Giudice di grado superiore opera una distinzione tra fatture anticipate esigibili al momento dell’iscrizione dell’ipoteca e non esigibili. Solo in merito alla seconda categoria l’ipoteca andrebbe revocata, in quanto al momento dell’iscrizione la somma anticipata non poteva ancora essere richiesta al cliente.
La sentenza emessa viene impugnata dalla banca con ricorso in Cassazione. La Suprema Corte risolve la questione sostenendo che, con l’anticipazione su fattura, la banca mette nell’immediata disposizione del correntista una provvista che fa insorgere il debito nei confronti dell’istituto di credito. Il debito per l’iscrizione ipotecaria va calcolato sommando tutte le somme anticipate al cliente, non avendo rilievo l’esigibilità o meno delle fatture.