L’autoriciclaggio nuova frontiera del contrasto all’evasione

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L’autoriciclaggio segnerà la nuova frontiera del contrasto alle evasioni fiscali internazionali.

Tradizionalmente la condotta del soggetto attivo di reati tributari che trasferisce il provento o il profitto del delitto, al fine di occultarne la relativa provenienza, è stata ritenuta un «post factum» non autonomamente punibile rispetto ai delitti presupposto (i reati tributari) il cui profitto o prodotto veniva trasferito.

E questo perché la formulazione letterale dell’art. 648-bis del codice penale è inequivocabile nella misura in cui prevede l’autonoma punibilità per il delitto di riciclaggio solo «fuori dai casi di concorso» nei reati presupposto.

Nella prospettiva della bozza del decreto discussa venerdì dal consiglio dei ministri, l’espunzione di tale locuzione «fuori dai casi di concorso», avrebbe determinato l’autonoma punibilità dell’auto-riciclaggio. La misura è stata però rinviata e sarà contenuta in un pacchetto di norme di contrasto alla criminalità organizzata che verrà esaminato nelle prossime settimane.

Se l’auto-riciclaggio verrà introdotto, qualunque movimentazione di attivi esteri non dichiarati idonei ad essere qualificati come provento o profitto di un reato tributario, se suscettibile di ostacolarne l’identificazione della provenienza, dovrà essere valutata ai fini di una imputazione a titolo di autoriciclaggio. E questo anche se i reati tributari sono molto risalenti nel tempo e quindi non più autonomamente perseguibili perché prescritti.

A ciò si aggiunge che ormai, anche piazze finanziarie tradizionalmente considerate come roccaforti del segreto bancario come la Svizzera ed il Lussemburgo hanno già modificato o hanno programmato di modificare le proprie legislazioni interne in materia di riciclaggio al fine di considerare i reati tributari, anche se commessi in un altro Stato, come «delitti presupposto» che faranno scattare il riciclaggio secondo le legislazioni locali, in caso di movimentazione del relativo profitto.

La detenzione di attivi finanziari esteri non dichiarati dovrà dunque fare i conti con la possibilità di una incriminazione per auto-riciclaggio in Italia (solo per movimentazioni successive alle eventuali modifiche dell’art. 648-bis del codice penale) e per riciclaggio nelle piazze finanziarie dove gli attivi sono detenuti.

Per i funzionari bancari e per i professionisti che si rendono soggetti attivi di fatti di riciclaggio potrebbe poi scattare una aggravante della pena se verrà riproposto il testo esaminato ma non approvato dal consiglio dei ministri di venerdì.

In merito il sistema bancario italiano ed internazionale devono riflettere sul fatto che la giurisprudenza penale italiana (caso Ciancimino) considera configurabile l’elemento psicologico del delitto di riciclaggio anche a titolo di «dolo eventuale». Se si accetta cioè il rischio, pur non avendone piena consapevolezza, che le somme trasferite possano essere il profitto di un reato, anche se tributario, può scattare il riciclaggio, nei limiti in cui l’operazione richiesta alla banca o al professionista è idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme trasferite. Schemi di detenzione di attivi esteri che prevedono l’utilizzo di società off-shore potrebbero essere valutati dall’Autorità giudiziaria come segnali di allarme al ricorrere dei quali il funzionario bancario o il professionista dovevano approfondire la situazione del cliente: in tali casi, potrebbe essere configurato il dolo di riciclaggio «a titolo eventuale» per il funzionario bancario e per il professionista che compiono operazioni idonee a ostacolare la provenienza e la «tracciabilità» di tali fondi senza aver preventivamente verificato che i fondi in questione erano o meno stati dichiarati in Italia e che non erano il profitto o il prodotto di un reato tributario.

Se questo è lo scenario, la voluntary disclosure appare l’ultima possibilità di regolarizzazione.

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