Mediolanum progetta il riassetto aziendale
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Snellire la struttura del gruppo, non solo per ridurre i costi ma anche per accorciare la catena di controllo, eliminando il disallineamento temporale tra la fase di realizzazione degli utili e il pagamento dei dividendi. Sono le finalità del progetto di fusione cosiddetta “inversa” di Mediolanum in Banca Mediolanum, società il cui capitale sociale è interamente detenuto da Mediolanum.
La fusione prelude alla quotazione delle azioni di Banca Mediolanum e, per effetto della fusione, i soci di Mediolanum diverranno soci della banca. Il progetto di fusione, che dovrà essere approvato dagli prevede l’assegnazione agli azionisti di Mediolanum di un’azione ordinaria Banca Mediolanum per ogni azione Mediolanum detenuta. L’assemblea straordinaria degli azionisti di Mediolanum che dovrà approvare l’operazione è stata convocata per il 29 settembre in prima convocazione, il 7 ottobre in seconda convocazione e il 18 novembre in terza convocazione. Agli azionisti Mediolanum è stato attribuito un diritto di recesso a 6,611 euro per azione con un esborso massimo di 100 milioni di euro.
Secondo gli analisti, che non si aspettano effetti rilevanti dall’operazione, si tratterebbe di una conseguenza naturale del fatto che Mediolanum è diventato un gruppo bancario. Discorso diverso invece a livello fiscale: la fusione inversa garantisce importanti benefici dal momento che evita la tassazione dei dividendi infragruppo, voce che sul bilancio pesa circa 5 milioni di euro l’anno.

Peraltro la quotazione della nuova Mediolanum rinvia nuovamente il momento propizio per un’eventuale decisione circa le sorti di Banca Esperia. Con asset under management che sfiorano i 18 miliardi, 24,5 milioni di ricavi e un utile lordo di 6,8 milioni al primo trimestre 2015, la boutique di private banking nata da una joint venture fra Mediobanca e Mediolanum è infatti da un paio di anni alla ricerca di un nuovo socio. Nonostante infatti non rappresenti più una componente strategica per Mediolanum, dopo la creazione di una propria divisione private, la famiglia Doris ha ribadito in più di un’occasione di non avere intenzione di svendere la propria partecipazione.

I potenziali benefici del riassetto del Gruppo hanno già spinto Mediolanum a tornare a investire nell’economia reale mettendo sul piatto, tramite la controllata Mediolanum Vita, 5 milioni di euro, la stessa somma che secondo gli analisti dovrebbe risultare come risparmio dalla mancata tassazione dei dividendi infragruppo.
La decisione si inserisce peraltro in un approccio adottato già da alcuni anni dal Gruppo per iniziative finalizzate allo sviluppo del sistema paese: dopo il lancio a fine 2013 del fondo flessibile Sviluppo Italia – che investiva prevalentemente in obbligazioni sia di società quotate sia, anche se in misura ridotta, di società non quotate e di piccole dimensioni – e l’ingresso con 3 milioni di euro nel capitale di United Ventures – veicolo di venture capital per il sostegno e lo sviluppo di imprese innovative tecnologiche italiane avvenuto nel 2014 – il Gruppo ha reso noto ufficialmente l’investimento in Tenax Credit Italian Fund, fondo dedicato all’erogazione di credito alle Pmi italiane di Tenax Capital, società londinese di asset management guidata da Massimo Figna.
Il fondo chiuso di diritto irlandese avrà una durata di sette anni e un obiettivo di 150 milioni di euro di raccolta. Il target individuato riguarda circa un migliaio di piccole e medie imprese con un fatturato compreso tra 50 e 250 milioni di euro e una leva finanziaria inferiore a 4,5 volte l’Ebitda. Il target di rendimento netto sarà nell’ordine del 5-6 per cento.
“Tenax Credit Italian Fund – ha spiegato Massimo Figna, Ceo e fondatore di Tenax Capital – offrirà credito a medio-lungo termine consentendo alle imprese di tornare a programmare nuovi investimenti diversificando la durata del debito con una flessibilità di erogazione su misura per ogni azienda. Oggi le imprese italiane dipendono per il 70% dai finanziamenti bancari, mentre nel Regno Unito questa percentuale scende al 30 per cento. Anche in Italia, più che mai in questo momento, servono iniziative concrete in grado di offrire alle Pmi nuove fonti di approvvigionamento del credito e agli operatori istituzionali nuove forme di investimento che consentano una maggiore diversificazione del portafoglio”.

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