Non si cresce con tante PMI e credit crunch

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I paesi europei che hanno una maggiore presenza di PMI hanno mostrato mediamente una crescita inferiore nel periodo 2009-12, in presenza di una crescita bassa o addirittura negativa del credito concesso alle imprese.

Sono queste le conclusioni di uno studio dell’IMF appena pubblicato (Small and Medium Size Entreprises, Credit Supply Shocks, and Economic Recovery In Europe di Nir Klein) che esamina la correlazione tra la presenza di PMI nei paesi europei e la crescita economica in presenza di una forte stretta creditizia.  L’Italia appartiene a pieno titolo alla categoria dei paesi in cui i due fattori si sono combinati in modo particolarmente rilevante: una presenza massiccia di piccole imprese e una marcata stretta del credito. E i risultati si sono visti.  Lo studio determina il coefficiente di correlazione del credit-crunch e crescita economica e suggerisce nuovamente l’importanza di allentare il nodo del credito per potere dare un’accelerazione alla ripresa.

Si comincia con un’altra fotografia sul peso delle piccole imprese in Italia

Si prosegue con una istantanea sul peggioramento delle condizioni del credito per le nuove erogazioni tra il 2007 e il 2012, che ha toccato tutti i paesi (sopra la linea di neutralità a 45°), ma con maggiore forza per Grecia, Portogallo, Danimarca, Spagna, Italia e UK.

L’effetto è stato per l’Italia uno dei tassi di crescita più bassi tra i paesi europei.

The analysis shows that the pace of economic recovery and credit growth during 2010–2012 is negatively correlated with the prevalence of SMEs across EU countries. More specifically, the results indicate that countries with high share of SMEs tended to recover more slowly from the global financial crisis than countries with low share of SMEs, implying that the interaction of the economic structure and access to bank financing play a critical role during episodes of economic recovery. This conclusion is reinforced by a VAR estimation, which finds that a negative credit supply shock applied to SMEs has an adverse effect on economic activity, and this impact is greater in countries that have a high share of SMEs.

Le stime effettuate dai ricercatori del Fondo Monetario Internazionale indicano che la presenza prevalente di PMI è particolarmente importante in senso negativo durante i periodi di stress finanziario: l’impatto di una stretta creditizia sull’andamento del PIL è molto peggiore nei paesi con un’elevata quota di PMI (vedi curva blu nel grafico n.12)

Servono soluzioni più incisive per le PMI

Forse non serviva l’analisi econometrica dell’IMF per arrivare a queste conclusioni, ma certamente il paper di Klein serve come promemoria per trovare soluzioni urgenti alla scarsità di credito verso le PMI. Se è vero che purtroppo sono proprio le piccole imprese con bassa quota di capitali a rappresentare un rischio (e un costo di capitale elevato) per le banche, è ugualmente vero che l’abbandono di una quota così rilevante di imprese da parte del sistema creditizio diventa un problema generalizzato di crescita nazionale, come si è ben visto. Se poi i ricercatori dell’IMF avessero investigato anche il tasso di pressione fiscale sulle piccole imprese allora temo che l’Italia sarebbe stato il fanalino di coda.

Il paper si limita a suggerire un miglioramento delle condizioni finanziarie delle piccole imprese, del loro accesso al credito, ma ammette che anche i tentativi fatti in UK (Funding For Lending) e in Ungheria (Funding For Growth) hanno avuto effetti limitati. Qui in Italia ci si culla ancora con l’effetto moratoria (1 anno o 6 mesi di rinvio dellerate) e si stanno estendendo le coperture statali sul credito alle PMI. Ora si spera nelle nuove regole previste dalla BCE per le operazioni di liquidità (TLTRO) alle banche a partire da ottobre, ma ho la netta impressione che si debba inventare qualcosa di più incisivo, perché la riluttanza delle banche verso il rischio delle PMI sta salendo ogni giorno e non viceversa.

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