Spedizione postale di un assegno poi incassato fraudolentemente

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Cass., 4 novembre 2014, n. 23460

Nella fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte, una società di assicurazione contestava ad un istituto di credito il fatto di aver erroneamente pagato un assegno, che la predetta società aveva spedito tramite posta ordinaria, ad un soggetto non legittimato che, presumibilmente, dopo aver intercettato il titolo di credito, aveva contraffatto il proprio documento d’identità.

Essendo stata obbligata a ripetere il pagamento, l’assicurazione chiedeva il relativo rimborso alla banca.

La Corte d’Appello di Torino aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa della società assicurativa e dell’istituto di credito, affermando che, da un lato, la spedizione tramite posta ordinaria non era idonea ad interrompere il nesso causale che aveva portato all’incasso fraudolento dell’assegno e, dall’altro lato, che l’istituto di credito non aveva diligentemente operato nell’identificazione del beneficiario.

La Corte di Cassazione non ha, tuttavia, condiviso tale decisione.

Infatti, secondo i giudici di legittimità “la condotta tenuta dal traente un assegno di rilevante importo, sbarrato e non trasferibile, consistita nella spedizione del titolo medesimo al beneficiario, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, non assume alcun rilievo causale in riferimento all’evento produttivo del danno lamentato dallo stesso traente, determinantosi in ragione del successivo pagamento dell’assegno in favore di soggetto estraneo al rapporto cartolare, a seguito di riconoscibile falsificazione nel nome del beneficiario, giacché detto evento è da ascrivere unicamente alle condotte colpose realizzate, nonostante l’evidente falsificazione, rispettivamente dall’istituto di credito che ha posto il titolo all’incasso e dalla banca che lo ha presentato in stanza di compensazione”.

La Suprema Corte ha poi aggiunto che, per sostenere la responsabilità concorrente del traente, non può essere invocata neppure la disciplina di cui agli artt. 83 e 84 del d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156, che vieta di includere nella corrispondenza ordinaria denaro, oggetti preziosi e carte di valore, giacché la stessa attiene esclusivamente ai rapporti tra l’ente postale ed i suoi utenti.

Articolo tratto da

iusletter

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